Pillole di psicologia: “Amor proprio: le fondamenta del benessere psicologico”

Pillole di psicologia

 

“Amor proprio: le fondamenta del benessere psicologico”

 

“Amati tu, che gli altri hanno da fare”Mirko Badiale

Giorgio De Chirico, Canto d’amore, 1914.

La mancanza di amor proprio è alla base della maggior parte dei malesseri psicologici. È un po’ come quando una casa non ha fondamenta solide, e non è così robusta da resistere agli impetuosi fenomeni della natura, basta poco subire danni o addirittura crollare. Lo stesso vale per “la casa della salute psicologica”, venendo meno le fondamenta solide dell’amor proprio, basta poco perché le vicissitudini delle vita possano metterla a repentaglio. La vita non è così facile, semplice e in discesa, e la mancanza di amor proprio non è di certo un vantaggio per poterla vivere e affrontare nel modo migliore. È come affrontare la scalata di una montagna senza l’equipaggiamento necessario: scarponi, caschetto, imbragatura, corda, moschettoni, piccozza e chiodi; ma a piedi scalzi e a mani nude, senza nessuna corda e imbragatura di sicurezza, e in questo modo, la scalata, che già di per sé è complessa e complicata, diventa così difficile da sembrare impossibile.

La mancanza di amor proprio porta ad assumere comportamenti disfunzionali e non adattivi, a fare ragionamenti non congrui, a prendere decisioni in modo scorretto, a fare scelte sbagliate. Ciò perché la mancanza di amor proprio è talmente intollerabile per una persona, visto che è la mancanza delle fondamenta del proprio benessere psicologico, che spinge a colmare questa mancanza in ogni modo, persino al costo di comportamenti, atteggiamenti e ragionamenti totalmente fasulli: cercando sempre di dimostrare qualcosa agli altri, ricercando sempre la loro approvazione, aspettandosi sempre qualcosa dagli altri, rendendosi sempre tanto disponibili per poi ricevere in cambio un pugno di mosche e, soprattutto, rivolgendo il proprio sguardo sempre agli altri senza mai riservare neanche una sbirciatina a se stessi. In altre parole, trasformando la propria vita quotidiana in un deserto desolato e le proprie relazioni interpersonali in aperti campi di battaglia.

 

Ecco un esempio di ciò che può accadere in una relazione in assenza dell’amor proprio, ce lo raccontano molto semplicemente e chiaramente Roberta Taverna, che ispirandosi alla storia di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol, nel giugno 2016 sul suo profilo Facebook ha scritto queste parole:

«Ma tu mi ami?» chiese Alice.

«No, non ti amo.» rispose il Bianconiglio.

Alice corrugò la fronte e iniziò a sfregarsi nervosamente le mani, come faceva sempre quando si sentiva ferita.

«Ecco, vedi? – disse il Bianconiglio – Ora ti starai chiedendo quale sia la tua colpa, perché non riesci a volerti almeno un po’ di bene, cosa ti renda così imperfetta, frammentata. Proprio per questo non posso amarti. Perché ci saranno dei giorni nei quali sarò stanco, adirato, con la testa tra le nuvole e ti ferirò. Ogni giorno accade di calpestare i sentimenti per noia, sbadataggine, incomprensione. Ma se non ti ami almeno un po’, se non crei una corazza di pura gioia intorno al tuo cuore, i miei deboli dardi si faranno letali e ti distruggeranno.

La prima volta che ti ho incontrata ho fatto un patto con me stesso: mi sarei impedito di amarti fino a che non avessi imparato tu per prima a sentirti preziosa per te stessa. Perciò, Alice no, non ti amo. Non posso farlo.»

 

Per vivere serenamente ed essere felici è indispensabile coltivare un sano amor proprio, rappresenta le fondamenta del proprio benessere, perciò è essenziale dedicare del tempo a definire cosa sia e a individuare come costruirlo e custodirlo nel tempo. Già! Perché l’amor proprio per fortuna è un sentimento dinamico, per cui qualora fosse carente si può sempre rimediare, e soprattutto, non si trova nel mondo esterno, né tanto meno si trova da qualche parte bello e pronto, è un sentimento che si trova dentro di noi, come un seme prezioso che coltivato e annaffiato giorno dopo giorno crescerà e porterà i suoi migliori frutti.

 

Facciamo qualche esempio pratico di quanto sia indispensabile un sano sentimento di amor proprio. In aereo, quando le hostess spiegano cosa fare in caso di emergenza, si raccomandano di mettere l’ossigeno prima a se stessi e solo in seguito di aiutare chi si trovi in difficoltà. Lo stesso vale su una nave, in caso di emergenza i passeggeri vengono istruiti a gonfiare prima il loro salvagente e solo in seguito ad aiutare gli altri a fare lo stesso.

In questi esempi è chiaro quanto non sia possibile offrire aiuto e soccorso se prima già non si è garantito aiuto e soccorso a se stessi, perché se per prima cosa non si mette in sicurezza se stessi non si è nelle condizioni tali da poter essere di aiuto ad altri. Del resto, qualsiasi soccorritore che lo faccia per professione ha in dotazione divisa e attrezzi, e quando si reca sul posto dell’emergenza è sempre munito dei suoi strumenti di lavoro, sono questi che gli permetteranno di salvaguardare se stesso ancor prima di soccorrere chicchessia, ed è solo assicurandosi la sua incolumità che potrà davvero aiutare e salvare delle vite in pericolo.

 

Questi esempi raccontano molto chiaramente e semplicemente l’importanza dell’amor proprio, eppure, nella realtà accade sempre più spesso che si dà così tanto per scontato da andarsi a cacciare nell’oblio più nebuloso. È molto frequente che le persone riservino più attenzione al mondo esterno, agli altri, ai propri doveri e impegni, piuttosto che al proprio mondo interno, a se stessi, alle proprie priorità, passioni e desideri. Addirittura confondendo l’amor proprio con l’egoismo, pensando che amare se stessi, occuparsi di se stessi e riservare delle attenzioni a se stessi sia da egoisti. E questo in realtà non è neanche così strano, tenendo conto dell’educazione che ci viene impartita. Sin da piccoli a ciascuno di noi viene insegnato a rispettare gli altri, a chiedere scusa, grazie e per piacere, a fare attenzione alle parole che si dicono e ai gesti che si fanno, ma a nessuno di noi viene insegnato a fare tutto ciò nei nostri riguardi, ad avere la stessa attenzione, gentilezza e rispetto verso se stessi.

 

Le persone che rivolgono il loro sguardo soprattutto o quasi esclusivamente al mondo esterno e agli altri si possono riconoscere in quelle che non si prendono cura di sé e della propria salute, che non riservano mai degli spazi e momenti per se stessi, che non si congratulano mai con se stessi, che non danno valore ai proprio progetti, sogni e desideri. Sono persone che fanno un lavoro che non amano, portano avanti relazioni non soddisfacenti, fanno spazzatura dei loro sogni, fanno del “si deve e si fa” il loro principio di vita, tradendo i loro veri principi e valori personali, fino a quel giorno in cui lo schiaffo doloroso di una vita di delusioni e insoddisfazioni li sveglia, mostrandogli chiaramente che non rispecchiano neanche lontanamente la persona che avevano sognato di diventare, che la loro vita non ha niente a che fare con loro stessi, con ciò che desiderano e immaginano.

Nella vita di queste persone, tutta la fantasia e creatività della fanciullezza, tutti i sogni e le speranze dell’adolescenza, una volta entrati nel mondo degli adulti, sono andate in fumo nel “si dice e si fa” sociale, e in questo fumoso mondo sociale esterno hanno perso di vista la propria vera e autentica identità.

Ciò rende chiaro quanto l’amor proprio non ha niente a che fare con l’egoismo. Amarsi vuol dire permettersi di costruire la propria vita in modo autentico, all’insegna della propria reale identità, vuol dire alimentare e sostenere la propria dignità personale. L’egoismo è tutt’altra cosa, è quel comportamento finalizzato al vantaggio di se stessi a qualunque costo, anche al costo di limitare o danneggiare l’altro e i suoi progetti. E non è affatto da egoisti essere se stessi e compiere e realizzare la propria natura: è da persone che hanno il diritto e il dovere di amarsi e compiere il loro progetto di vita e di persona.

 

L’amor proprio è l’arte di volersi bene, rispettarsi, valorizzarsi e proteggersi, dedicando la propria vita a realizzare se stessi, scegliendo ciò che fa stare bene e rifugiando da ciò che fa stare male, scegliendo le persone con le quali condividere il nostro tempo e anche i luoghi nei quali trascorrerlo. È la buona abitudine di spendere del tempo per se stessi, imparando a conoscersi, accettarsi, rispettarsi e valorizzarsi, fino a considerarsi la corda più solida a cui aggrapparsi e il posto più sicuro in cui trovare riparo. Del resto, il compagno che più di tutti sarà al nostro fianco, sempre, dovunque e comunque, siamo noi stessi, ed è questo compagno che prima di tutti merita il posto d’onore nella nostra vita, perché è attraverso di lui che viviamo tutte le nostre esperienze, e se è in forma lui, lo saremo anche noi, e saremo in grado di affrontare e superare tante avversità. Come dice Oscar Wilde “Amare se stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta la vita”, del resto, nella nostra vita tutto incomincia e tutto termina a partire da noi stessi, per questo siamo noi lo strumento più importante da custodire e salvaguardare.

Ecco il pensiero del maestro di saggezza Omar Falworth che credo racconti molto bene l’importanza di amarsi, di essere un buon compagno per se stessi:

“Ricordati che oggi incontrerai uno stolto che metterà a dura prova la tua bontà e la tua pazienza, un maldicente che sparlerà di te, un furbo che cercherà di usarti, un presuntuoso che pretenderà di aver ragione ad ogni costo, un prepotente che cercherà di sopraffarti, un iracondo che ti trasmetterà rabbia. Ma tu non ti lascerai turbare più di tanto, perché sarai in compagnia di un moderato che frenerà le tue reazioni, un buono che tramuterà in bene tutto il male che riceverai, un saggio che ti guiderà sulla retta via e ti farà prendere delle buone decisioni, … ovvero sarai in compagnia di te stesso”.

 

L’amor proprio è come le fondamenta di una casa, ci permette di resistere alle intemperie e superare le avversitaà. L’amor proprio è come una bussola, ci permette di ritrovarci quando abbiamo perso la rotta. L’amor proprio è come un faro, ci illumina la strada quando si fa buio. Perché quando arriveranno i momenti bui e difficili, ed è sicuro che arriveranno, e ci si sentirà smarriti e fragili, senza amor proprio si potrà cadere vittime delle situazioni o delle persone. Perché quando non si ha amore per se stessi, e non ci si apprezza, e non ci si sente in grado di affrontare e mettere i limiti a certe situazioni, e non ci si sente in grado di dire no, è allora che le situazioni prendono il sopravvento, ed è allora che le persone prendono il sopravvento. E quello che è più grave è che continuando in questa direzione, pian piano da protagonisti della propria vita si diventerà comparse, e poi andando ancora più avanti si diventerà spettatori, fino a diventare addirittura inesistenti pur vivendo, avendo la sensazione di vivere una vita non più nostra.

L’amor proprio è la nostra forza più grande, è il nostro motore, da qui partono i nostri obiettivi, i nostri sogni, e con essi si accendono le nostre doti e capacità per raggiungerli. È la spinta a realizzarsi, a crescere e a migliorarsi, per compiere al meglio se stessi e la propria vita.

 

L’amor proprio è un sentimento che si coltiva e custodisce assumendo atteggiamenti amorevoli nei propri riguardi, e questi atteggiamenti sono i seguenti:

  1. Auto-conoscenza. La capacità di rivolgere uno sguardo a se stessi, incuriosendosi a scoprirsi e a conoscersi, cercando di capire chi siamo, quali sono le nostre priorità, i nostri valori, le nostre attitudini, capacità e virtù, ma anche i nostri punti deboli e i nostri limiti.
  2. Autostima. La capacità di valutare e apprezzare se stessi, riconoscendo le proprie risorse, virtù e meriti. La capacità di apprezzarsi e congratularsi con se stessi. L’autostima è un processo che parte dal riservarsi uno spazio per osservarsi e valutarsi, per giungere al riconoscersi come una persona apprezzabile e dotata di risorse di valore.
  3. Autonomia. La capacità di essere indipendenti, di autodirezionarsi e autodeterminarsi, riconoscendo in sé dei punti di forza sui quali poter contare per cavarsela da soli. La capacità di essere coraggiosi nel fare scelte consone alla propria persona piuttosto che farsi trascinare o traviare dalle pressioni esterne. L’autonomia è l’atteggiamento che permette di fidarsi e affidarsi al proprio mondo interno più che a quello esterno, quel mondo interno che garantisce di imboccare e mantenere la rotta della coerenza con se stessi e la propria natura.
  4. Autoaccettazione. Nella consapevolezza dei propri punti di forza e dei propri punti deboli, l’autoaccettazione è quella capacità che permette di perdonarsi e fare bene i conti con i propri limiti, abbracciandoli e rispettandoli, piuttosto che rifiutarli e sfidarli. Si tratta di un atteggiamento basilare per costruire l’amor proprio, richiede un grande coraggio sapersi perdonare per non essere perfetti e volersi bene nonostante i propri difetti.
  5. Autocompassione. Questa capacità rappresenta il coraggio di sapersi perdonare per gli errori fatti ma anche per i difetti posseduti, per non essere perfetti ma imperfetti. È l’umiltà di smettere di giudicarsi e rimproverarsi per regalarsi l’opportunità di meritare un’altra chance per poter crescere e migliorare. È la valorizzazione dei propri pregi a discapito dei difetti, sicuramente riconosciuti, ma accettati e perdonati.

 

Diversi studi psicologici confermano quanto l’amor proprio sia un sentimento importante da sviluppare e accrescere, nello specifico sottolineando quanto gli atteggiamento che ne favoriscono lo sviluppo e la crescita siano essenziali per il proprio benessere psicologico. Ne citiamo alcuni qui di seguito, ciascuno si concentra sullo studio e sull’approfondimento di alcuni elementi specifici che costituiscono l’amor proprio.

 

Carol Ryff, psicologa, professoressa e Direttore del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Wisconsin negli Stati Uniti d’America, si è occupata lungamente del benessere psicologico, e con i suoi studi e le sue ricerche è riuscita a creare un suo modello di benessere psicologico (Ryff C., 1989; 1995). In questo modello individua e caratterizza le sei dimensioni del benessere psicologico: autoaccettazione, relazioni positive, autonomia, controllo ambientale, scopo nella vita, crescita personale. E si evince che in queste sei dimensioni compaiono l’autoaccettazione e l’autonomia, che sono due degli atteggiamenti che nutrono e rafforzano l’amor proprio, atteggiamenti che per Ryff contribuiscono a sviluppare il benessere psicologico.

Tante sono le teorie psicologiche che considerano l’autostima una capacità importante per il proprio benessere psicologico. Per autostima si intende quell’insieme di valutazioni e di giudizi che ciascuno dà di se stesso, e in questo concetto vengono individuati tre elementi che ritornano spesso nelle diverse definizioni (Bascelli, 2008):

  • La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di auto-conoscersi.
  • L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi.
  • L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.

Per costruire e alimentare una buona stima di sé sono stati individuati degli elementi essenziali. Secondo la ricercatrice Agata Toro (2010), per accrescere la propria autostima è necessario migliorare e incrementare le seguenti abilità:

  • Il problem-solving interpersonale: incrementare le proprie capacità di affrontare e risolvere i problemi.
  • Il dialogo interno: ricordare di parlare a se stessi con termini positivi, inviando a se stessi affermazioni positive.
  • Lo stile attribuzionale: attribuire a se stessi il merito dei propri successi, mentre per gli insuccessi valutare realisticamente se è possibile rimediare o in caso contrario rimediare al cattivo stato d’animo.
  • L’autocontrollo: incrementare e rafforzare le strategie per mantenere il controllo di fronte a situazioni difficili.
  • La modificazione degli standard cognitivi: porsi obiettivi concreti, ovvero definiti in termini pratici e comportamentali, valutando i costi, i benefici e la possibilità di riuscita, e non standard troppo alti e non concretamente definiti.
  • Le abilità di comunicazione: incrementare le proprie abilità comunicative migliorando la capacità di ascolto, di comprendere i punti di vista differenti, di cooperare e di condividere con gli altri, di concludere le interazioni interpersonali senza conflitto.

 

La Self Determination Theory (SDT), elaborata nel 1985 dai due studiosi americani Edward L. Deci e Richard M. Ryan, docenti dell’Università di Rochester nel Dipartimento di Scienze Sociali e Cliniche in Psicologia, sostiene quanto sia importante per il proprio benessere, la propria autostima e la propria crescita personale, svolgere sicuramente attività in cui si è bravi, ma anche e soprattutto attività che piacciono e che siano coerenti con i propri valori e obiettivi. In altre parole questa teoria sottolinea l’importanza di fare scelte autonome e autodirezionate.

Questi due ricercatori hanno dimostrato in più esperimenti quanto l’autonomia, l’indipendenza, l’autodirezionalità, la capacità di contare su se stessi dandosi una direzione e dei principi di vita, rappresentino lo sviluppo e la crescita della propria individualità, la possibilità diventare se stessi e compiere la propria natura. L’autonomia è quella capacità di scoprire e dedicarsi a ciò che sappiamo fare bene, che ci fa sentire capaci e talentuosi, ma anche che ci piace e ci fa stare bene, e questa capacità permette alle persone di essere più serene e soddisfatte della propria vita. Infatti le persone con bassa autonomia tendono ad essere infruttuose, povere di iniziative, demotivate, abbattute, poco integrate e inette. Secondo i due ricercatori l’autonomia è la capacità che alimenta la motivazione intrinseca, la sorgente di ogni azione svolta con passione, fiducia e soddisfazione (Deci E. L, Ryan R. M, 1985; 1987; 2000).

 

L’autodirezionalità è un concetto che lo psichiatra Claude Robert Cloninger ha classificato nella sua teoria della personalità biosociale,  che tiene conto sia degli aspetti biologici-costituzionali sia di quelli socio-culturali. Secondo il Temperament and Character Inventory (TCI), il questionario di personalità basato sulla teoria di personalità di Cloninger, l’autodirezionalità, come gli altri tratti analizzati nel questionario, si definisce meglio delineando il suo contrario. Questo concetto comprende cinque dimensioni (Cloninger C. R., 1987; Svrakic D. M., Withead C., Przybeck T. R., Cloninger C. R.,1993):

  • Il senso di responsabilità contrapposto alla colpevolizzazione degli altri: il sentirsi artefici delle proprie azioni contro la delega della responsabilità agli altri, sentendosi vittime o controllati dagli altri.
  • La proposizionalità contrapposta alla mancanza di scopi: il senso di libertà di scelta in linea con i propri sogni e desideri contro la mancanza di direzione verso un obiettivo.
  • La ricchezza di risorse contrapposta al senso di inadeguatezza: la consapevolezza delle proprie capacità e competenze contro la mancanza di autosufficienza e indipendenza.
  • L’accettazione di sé contrapposta alla lotta con sé: la soddisfazione emotiva per come si è e per come sono gli altri contro l’insoddisfazione e non accettazione di sé, degli altri e del mondo.
  • L’illuminazione intesa come la sensazione di individuare la bontà intrinseca in tutte le cose contro la percezione di corruzione e perversione nel mondo.

 

Alber Bandura è il più rilevante esperto e teorico del concetto di autoefficacia, e definisce il senso di autoefficacia come quell’insieme di “convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati” (Bandura A., 2000),  e queste convinzioni hanno un enorme impatto sul comportamento della persona. Per Bandura i livelli di autoeffica influenzano le proprie prestazioni in ogni ambito, da quello sociale, relazionale a quello lavorativo piuttosto che nei contesti di cura. “Persone diverse dotate di abilità simili, o la stessa persona in circostanze diverse, possono compiere azioni carenti, adeguate o straordinarie a seconda delle fluttuazioni nelle loro convinzioni di efficacia” (ibidem, p. 66).

Per Bandura bassi livelli di autoefficacia spingono le persone a dubitare delle loro capacità, a evitare compiti difficili, a tirarsi indietro ai primi ostacoli, a mancare di motivazione, a sforzarsi poco per raggiungere l’obiettivo,  a provare più stress ed emozioni spiacevoli nella messa in pratica e ad avere aspirazioni poco ambiziose. Tutto ciò causa disagio psicologico e la facilità di cadere nella trappola della depressione piuttosto che nella morsa dello stress. Al contrario una persona con alti livelli di autoefficacia confida nelle proprie capacità, vede i compiti difficili come sfide, si concentra sulla soluzione piuttosto che sul problema, si impegna per raggiungere l’obiettivo, attribuisce gli insuccessi al poco impegno e si pone obiettivi più ambiziosi. Tutto ciò promuove e sostiene la salute psicologica, e protegge dallo stress e dal tunnel della depressione.

Il senso di autoefficacia per Bandura non è statico bensì è dinamico, e si costruisce e si modifica in base a queste quattro fonti principali:

  1. Esperienze dirette. Sono la principale fonte di sostegno dell’autoefficacia, le esperienze nelle quali impegnandosi e superando ostacoli si è avuto successo.
  2. L’osservazione delle esperienze di altre persone (esperienze vicarie). Osservando gli altri che raggiungono dei successi, prendendoli come modelli e ritenendosi in possesso di capacità simili, ci si può convincere di poter raggiungere gli stessi risultati.
  3. La persuasione verbale. Le valutazioni positive e realistiche che si riceve da parte di persone che vengono ritenute esperte nelle abilità in questione contribuiscono a rafforzare la convinzione di autoefficacia.
  4. Gli stati fisiologici ed affettivi. Le persone valutano il proprio senso di autoefficacia anche in base ai loro parametri fisiologici, come ad esempio lo stress e la fatica, e le emozioni, quali ad esempio la tristezza o la noia, per cui migliorare le proprie sensazioni fisiche e le proprie emozioni contribuisce a consolidare buone convinzioni rispetto al proprio senso di autoefficacia.

 

L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è stata sviluppata da Steven C. Hayes (1986; 1994; 1999) e i suoi collaboratori ed è una teoria che pone al suo fondamento il concetto di accettazione. Il principio cardine di questa teoria è l’evitamento esperienziale, dove con questo concetto si intende la non disponibilità della persona a non rimanere in contatto con certi pensieri, ricordi, esperienze, emozioni e sensazioni, che non solo è faticoso, ma non risolve la sofferenza, bensì la amplifica. Per evitare qualcosa bisogna in ogni caso dargli attenzione, e questa attenzione non fa altro che dare forza e potere all’oggetto evitato. Ecco perché questa teoria propone al contrario dell’evitamento esperienziale l’accettazione dell’esperienza. Secondo l’ACT il tempo e le energie impiegate per evitare e lottare contro le proprie esperienze interiori dovrebbero essere investiti in azioni concrete, guidate dai propri valori, per godere di un benessere psicologico e migliorare la propria vita. L’acronimo ACT può essere sintetizzato così:

  • Accept your reactions and be present

 

    •      (accetta le tue esperienze interiori e sii presente a te stesso).
  • Choose a valued direction

 

    •      (scegli una direzione di valore).
  • Take action

 

  •      (agisci).

Il primo passo dell’ACT suggerisce di prendere coscienza del proprio mondo interiore e di sostituire l’atteggiamento evitante con un atteggiamento accogliente, accettando il vissuto interiore senza giudicarlo né controllarlo né spiegarlo. Questo atteggiamento di apertura e ricettività verso i propri pensieri, emozioni o ricordi fa sì che questi elementi si muovano liberamente nella mente, e senza ostacolarli o contrastarli diventino meno minacciosi e temibili, riducendosi così l’impatto negativo che hanno sulla propria vita. Il secondo passo si focalizza sul riconoscere cosa sia davvero importante per se stessi, le proprie priorità e valori, concentrandosi su che persona si vuole veramente essere, su cosa conta veramente e cosa si vorrebbe veramente realizzare nella propria vita. Il terzo passo punta a individuare azioni concrete e impegnate nelle quali rimanere in contatto con i propri valori, così da poter conquistare di volta in volta il senso di sé e della propria esistenza.

 

Recenti studi hanno valutato il contributo dell’autostima e della compassione ai fini del proprio benessere e hanno sottolineato come la capacità di essere autocompassionevoli sia ancora più rilevante per alimentare e preservare un sano amor proprio e una buona salute psichica.

Neff Kristin D. e Vonk Roos nei loro studi sottolineano, quanto lo sviluppo dell’autocompassione sia una strategia ancora più incisiva dell’autostima, permettendo di andare oltre la valutazione e il giudizio di se stessi, oltre la comparazione con gli altri e oltre la posizione difensiva che genera una qualsiasi valutazione. L’autocompassione si basa sul rispetto di se stessi, accettando umilmente i propri limiti ed errori, e puntando alla valorizzazione delle proprie risorse e potenzialità. È  la capacità di donarsi una seconda chance dopo aver fallito, senza accusarsi o giudicarsi, ma avendo comprensione e rispetto per se stessi, e ritenendosi meritevoli di una nuova opportunità. È un atto di grande flessibilità e apertura mentale, che permette di conquistare e coltivare una buona armonia interiore (Neff K.D., Vonk R., 2009; Neff K.D., 2011).

 

Queste teorie ci hanno sottolineato quanto ogni atteggiamento costitutivo dell’amor proprio sia un elemento essenziale per conquistare il proprio benessere psicologico.

L’amor proprio è come la rotta per una nave, è l’indicazione fondamentale per potere compiere un viaggio e raggiungere con impegno e fatica la destinazione desiderata. La mancanza di amor proprio è come una nave senza rotta, che si fa trascinare dalle onde e dal vento che soffia, e che senza fatica raggiunge un porto non desiderato. La differenza la fa l’impegno di sé: che nel primo caso è tanto, e presuppone di tenere duro, mantenere la rotta, affrontare e superare gli ostacoli, fare delle scelte consapevoli e aver previsto anche un piano di riserva qualora servisse; nel secondo caso, invece, l’impegno di sé è scarso, e implica il lasciarsi andare a quello che capita, senza sforzi e senza fatiche, abbandonandosi agli eventi e alle esperienze incontrate. E sebbene apparentemente il secondo caso sembrerebbe più semplice e facile, in realtà ha un prezzo molto più alto da pagare, poiché riserva la brutta sorpresa di una destinazione non desiderata, un costo salatissimo fatto di insoddisfazione e infelicità in quantità industriali.

Ecco allora che la scelta è questa: sforzarsi per essere felici oppure non sforzarsi per essere infelici. Coltivare l’amor proprio e impegnarsi per conquistare la felicità, oppure non coltivare l’amor proprio e non impegnarsi per conquistare l’infelice sofferenza.

 

Bibliografia

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Fonte delle immagini

Prima immagine. Web del 14 Ottobre 2018. Fonte: https://cultura.biografieonline.it/wp-content/uploads/2015/01/Canto-d-amore-Song-of-love-Giorgio-De-Chirico-1914.jpg

Seconda immagine. Web 27 Marzo 2018. Fonte: http://www.cagliariquotidiano.net/archivi/ immagini/2013/R/ryffs-PWB-scale.png