Pillole di psicologia
Il dialogo tra emozione e ragione
“Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante”
Khalil Gibran
Edvard Munch, Skrik (L’urlo), 1893.
Spesso le persone raccontato di aver fatto qualcosa di cui solo in seguito si sono rese conto veramente, e di cui magari si sono anche pentite amaramente. Lo scrittore americano Ambrose Gwinnett Bierce non poteva esprimere meglio questo concetto: “Parla senza controllare la rabbia e terrai il miglior discorso di cui tu ti possa pentire”. A questo c’è una spiegazione neuroscientifica che definisce come funziona l’elaborazione mentale degli stimoli, e quindi la reazione emotiva, cognitiva e comportamentale.
Joseph E. LeDoux, neuroscienziato statunitense, direttore del “Center for the Neuroscience of Fear and Anxiety” di New York, è uno studioso tra i maggiori esperti di emozioni, visto che le sue maggiori ricerche si sono interessate al funzionamento del sistema limbico in relazione alle emozioni e ai modi in cui si esprime la personalità umana. LeDoux ha scoperto alcuni meccanismi cerebrali che hanno permesso di comprendere meglio come funziona l’elaborazione cognitiva ed emotiva dei segnali in ingresso nel cervello.
Fino al contributo di LeDoux i neuroscienziati precedenti, seppur nello loro specifiche teorie, avevano sempre descritto la sviluppo delle emozioni nel cervello secondo questo iter.
Ecco come procede questo iter:
Ed ecco anche una breve descrizione dei componenti di questo processo:
LeDoux, con i suoi studi, ha scoperto che la via neurale delle emozioni già individuata da altri neuroscienziati non era l’unica. Ha evidenziato, infatti, che l’amigdala, una parte del sistema limbico che gestisce le emozioni, e in special modo la paura, a differenza di come si pensava in precedenza, in realtà ricopre una posizione più privilegiata nel cervello, e all’occorrenza ha la facoltà di mettere in scacco matto la neocorteccia e di prendere il controllo della mente (LeDoux J. E., 1993).
Le Doux scoprì che esistono due vie neurali che elaborano gli stimoli emotivi (LeDoux J. E., 1994):
La via neurale alta elaborare una risposta emotiva passando per la neocorteccia.
La via neurale bassa si attiva parallelamente a quella alta, e aggirando il passaggio per la neocorteccia, come una scorciatoia, attraverso un fascio sottile di fibre nervose collega direttamene il talamo all’amigdala.
Qual è la differenza tra le due vie neurali?
La via neurale alta è più lenta ma guadagna in completezza. Infatti, coinvolgendo più aree cerebrali impiega circa il doppio del tempo per elaborare gli stimoli, ma in compenso fornisce una risposta molto più dettagliata ed esaustiva.
La via neurale bassa, invece, è incompleta ma guadagna in velocità. Del resto non passando per la neocorteccia impiega meno tempo, circa la metà in meno. Il prezzo che paga questa via è che ottiene una registrazione parziale degli elementi dell’esperienza, solo di quelli ad alto impatto emotivo captati dall’amigdala. Quindi se da un lato è una via molto veloce, dall’altro elabora una conoscenza degli eventi parziale e lacunosa (Goleman D., 1996).
La via neurale alta rappresenta il meccanismo neurale delle situazioni normali, dove per normali si intendono le situazioni di vita usuali e regolari, quelle nelle quali si può avere il tempo necessario per soffermarsi a riflettere prima di elaborare una risposta mentale. Come per esempio, quando si sta scegliendo con attenzione un abito da acquistare, oppure quando si sta organizzando il da farsi della giornata, ascoltando per certi versi le predisposizioni emotive e per altri quelle razionali. In queste, come in altre situazioni simili, mentre l’amigdala predispone il suo piano di azione emotivo, basandosi su una conoscenza approssimativa dell’esperienza, la neocorteccia parallelamente registra più accuratamente i dettagli, e tenendo conto di tutte le informazioni, comprese quelle inviate dall’amigdala, seleziona la risposta emotiva che ritiene più consona a quell’esperienza. E la scelta che fa la neocorteccia si basa sulla valutazione dei probabili guadagni ma anche delle perdita, ovvero sul rapporto tra i rischi e i benefici (Davidson R. J, Jackson D. C., Kalin N. H., 2000)
La via neurale bassa, invece, rappresenta il meccanismo neurale delle situazioni di allarme, di quando ci si trova di fronte a eventi pericolosi e il tempo è prezioso, e bisogna decidere in fretta se fuggire o attaccare per garantirsi al meglio la sopravvivenza. È un circuito atto ad affrontare le emergenze e a garantire la sopravvivenza. Ecco perché, quando l’amigdala viene raggiunta da uno stimolo emotivo di allarme, si attiva a tal punto da riuscire addirittura a mettere in scacco matto la neocorteccia, disinnescando completamente le sue funzioni, e prendendo il comando di tutto il cervello. Così facendo l’amigdala concentra tutte le energie psichiche solo ed esclusivamente sulla messa in salvo. L’amigdala, quindi, è in grado sia di elaborare in autonomia la risposta emotiva, sia di inviarla ai vari distretti del corpo per trasformarla in azione vera e propria. E proprio in base a questo meccanismo succede che in situazione di emergenza, come ad esempio fuggire da una casa in fiamme oppure mettersi in salvo da una mareggiata, non si conserva un ricordo dettagliato dell’esperienza, si ricordano solo certi particolari. Del resto, l’amigdala, riconosciuto il pericolo e preso il comando, per prendere una decisine sul da farsi si basa su quei pochi stimoli pericolosi che ha registrato ed elaborato, e non memorizza in modo completo l’esperienza, come farebbe la neocorteccia (LeDoux E. J., 1994). Questo circuito si accontenta di informazioni parziali e lacunose perché come spiega LeDoux: “Non c’è bisogno di conoscere esattamente di cosa si tratti per sapere che può essere pericoloso”. (Goleman D., 1996)
È bello vedere come la natura abbia pensato a tutto, e ci abbia dotato di due meccanismi, uno per ogni evenienza.
Qual è il problema?
Il problema è che qualche volta questi meccanismi, come tanti altri meccanismi della natura, si inceppano e fanno confusione. E la fanno soprattutto quando viene a mancare il dialogo tra amigdala e neocorteccia, tra emozioni e ragioni.
Può capitare infatti che la via neurale bassa prenda il sopravvento in situazioni che solo apparentemente sembrano di emergenza, ma che in realtà non lo sono, e allora possono verificarsi dei problemi. Del resto, basarsi su poche informazioni in situazioni che richiederebbero una più attenta riflessione può essere un problema.
Immaginiamo per esempio di trovarci di fronte un cane che viene nella nostra direzione, e immaginiamo che l’amigdala, associando questa situazione a una simile di tanti anni fa, quando un cane ci ha rincorso e ci siamo spaventati a morte, ci mettesse in allarme e ci spingesse a fuggire all’impazzata in mezzo al traffico cittadino; quando in realtà quel cane sta andando per la sua strada, incurante della nostra presenza. Riflettiamo su quanto il nostro comportamento, in questo caso, più che garantirci la sopravvivenza, come era nelle buone intenzioni dell’amigdala, in realtà ci ha fatto correre un grande rischio. E tutto questo perché? Perché l’amigdala registra le informazioni secondo un metodo associativo: confronta le esperienze presenti con quelle passate, e basta che trovi un elemento in comune per identificare due situazioni diverse. È un metodo approssimativo e obsoleto (Goleman D., 1996), si basa su poche informazioni e utilizza piani di azione del passato. Tutto ciò, se può essere utile nelle vere situazioni di emergenza, dove basta un particolare per capire che si è in pericolo, e dove è sufficiente ripetere schemi comportamentali del passato per garantirsi la sopravvivenza, non è utile nelle altre situazioni. In questo esempio, infatti, l’amigdala è scattata in una situazione in cui non sarebbe dovuta scattare, e le poche informazioni su cui si è basata le hanno fatto fare male i conti, ha fatto 2+2=7.
Può capitare, tuttavia, che anche la via neurale alta prenda il sopravvento in situazioni che solo apparentemente sembrerebbero da analizzare nel dettaglio. E anche in questo caso, con il solo intervento della neocorteccia, si rischierebbe di mettere in atto un comportamento non adatto e non appropriato alla situazione (Goleman D., 1996).
Immaginiamo, ad esempio, che un nostro amico stia raccontando una barzelletta e noi stiamo lì ad ascoltarlo, e immaginiamo che noi, invece di ridere e concentrarci sull’aspetto ironico della storia, andassimo ad analizzarne i particolari, dicendo al nostro amico che la barzelletta propone uno scenario non reale e che la vicenda non ha un senso logico. Ebbene, è chiaro che, concentrandoci sull’analisi dei fatti ci perderemmo il senso stessa della barzelletta e l’emozione che ne consegue. E anche in questo caso, l’intervento massiccio dell’analisi logica compiuta dalla neocorteccia mette in scacco matto l’amigdala, che non potendo apportare il suo contributo emotivo priva l’esperienza della sua allegria. Il risultato di tutto ciò è che la neocorteccia ha registrato troppi dettagli, e questo, se in altre occasioni sarebbe stato di grande aiuto, in questo caso invece è stato totalmente fuori luogo e ha portato completamente fuori strada, facendo perdere quelle salutari risate che la barzelletta voleva suscitare. La neocorteccia, nonostante tutti i dati raccolti, ha fatto male i conti, ha fatto 2+2= 0.
A questo punto è chiaro che “l’amigdala per con suo” e “la ragione per conto suo” non portano a buoni risultati. Sono parte di una squadra, e nessun giocatore da solo può vincere la partita, serve il contributo di tutta la squadra.
Qual è la soluzione?
Chiaramente la soluzione sta nel cercare di integrare e armonizzare quanto più possibile emozione e ragione, in modo tale che ciascuna risorsa possa informare e arricchire l’altra, dal momento che ciascuna senza l’altra cadrebbe in errore.
E per fortuna la natura ha pensato a tutto, e ci ha dotato di una “manopola” incorporata nel nostro cervello che ci permette di gestire e placare le forti ondate emotive. Questa manopola è localizzata nella neocorteccia, e più precisamente nei lobi prefrontali. I lobi prefrontali regolano il nostro comportamento, le nostre azioni e anche le nostre reazioni emotivi (Davidson R. J, Jackson D. C., Kalin N. H., 2000). Sono il centro delle funzioni esecutive, ovvero le capacità della mente di programmare e organizzare dei piani di azione in vista di un obiettivo, compresi gli obiettivi di tipo emotivo. Accade allora, che mentre l’amigdala si allarma per scatenare una reazione emotiva ansiosa e impulsiva, i lobi prefrontali modulano queste reazioni e le rendono più analitiche e appropriate alle situazioni. E lo stesso vale per quanto riguarda l’eccessiva attivazione delle facoltà logico-analitiche della neocorteccia. Anche qui il collegamento tra i lobi prefrontali e l’amigdala integrano le emozioni alle ragioni per pianificare un comportamento che sia quanto più equilibrato e adatto alla situazione.
La soluzione è quindi nel dialogo, nell’armonia e nell’integrazione di emozione e ragione. Che spesso si verifica spontaneamente, ma che altrettanto spesso potrebbe venire a mancare. Specialmente di fronte a situazioni dal forte impatto emotivo. Il rimedio può essere nella supervisione del proprio cervello, poiché, nonostante sia un marchingegno meraviglioso, da solo non sempre riesce a dare il meglio, ha bisogno del nostro aiuto.
Daniel J. Siegel, psichiatra che dirige il Mindsight Institute della Università of California di Los Angeles, è un celebre neuroscienziato che tra i primi ha riconosciuto nella capacità di mindisght (vedere la mente) uno strumento di benessere psicologico. Secondo Siegel, è fondamentale monitorare l’attività mentale e favorire attivamente che sia integrata, armoniosa ed equilibrata. Un atteggiamento passivo potrebbe portare ad essere sopraffatti e schiacciati da una scorretta attività mentale del cervello (Siegel D. J., Amadei G. Prunas A., 2010). Del resto, la vita non è così semplice, e le buone capacità del cervello possono essere compromesse dagli eventi e dalle esperienze della vita. Ecco perché è fondamentale fare lo sforzo di osservare la propria mente e diventare consapevoli di come sta lavorando. Solo così si può intervenire per apportare delle correzioni.
È importante ricordare di monitorare la propria mente, solo così si può acquisire consapevolezza di quello che sta facendo, e solo così si può intervenire qualora stia “scambiando fischi per fiaschi”. L’autoconsapevolezza è la capacità di essere coscienti di cosa sta accadendo dentro di sé, ed è la chiave che apre le porte del benessere, permettendo di conoscere cosa sta facendo la nostra ragione e cosa stanno facendo le nostre emozioni, ed eventualmente, consente di migliorare il loro operato.
Bibliografia essenziale
Davidson R. J, Jackson D. C., Kalin N. H. (2000), Emotion, Plasticity, Context, and Regulation: Perspectives From Affective Neuroscience, Psychological Bulletin, 126, 6: 890-909.
Goleman D. (1996), Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano.
Le Doux J. E. (1993), Emotional memory systems in the brain, Behavioural Brain Reserch, 58: 69-79.
Le Doux J. E. (1994), Emotion, Memory and the Brain, Scientific American, 312: 32.
Siegel D. J., Amadei G. Prunas A. (2010), Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Fonte delle immagini
Immagine nell’articolo. Web del 23 Maggio 2018. Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f4/The_Scream.jpg/260px-The_Scream.jpg
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