Pillole di psicologia
Perdere un amore. Un lutto per una persona viva.
“Non c’è giorno a cui non segua la notte, non c’è notte senza alba, né gioia imperitura, né dolore infinito”.
I Ching
Edvard Munch, Separazione, 1896.
La fine di un amore è un’esperienza molto dolorosa e che accomuna molte persone, del resto, nel corso della vita è un dolore che prima o poi tutti si trovano ad affrontare. La triste consapevolezza di aver perso un amore rappresenta una delle realtà più difficili da affrontare. E sebbene la storia d’amore fosse burrascosa e complicata, la notizia della sua fine è una tragedia di sofferenza, poiché, nonostante tutto, quella storia d’amore è diventata nel tempo un’abitudine, e come tutte le abitudini, anche se cattive, sono un punto fermo rassicurante a cui aggrapparsi.
Tutto questo dolore è naturale, e proviene dal nostro modo naturale di elaborare le informazioni con le quali ci confrontiamo quotidianamente. La nostra identità, se in parte è frutto del patrimonio genetico, in gran parte è frutto delle nostre esperienze, che addirittura, come ci racconta l’epigenetica riescono a plasmare anche il patrimonio genetico. Ciò vuol dire che la nostra personalità si costituisce gradualmente in risposta alle nostre esperienze, e questo avviene attraverso il meccanismo cerebrale della formazione delle rappresentazioni mentali, ovvero quella capacità del cervello di rappresentare mentalmente gli stimoli con i quali ci si confronta, anche in loro assenza. Questo è un processo di interiorizzazione degli stimoli esterni, e ciò vuol dire che ogni persona porta dentro di sé la rappresentazione di una persona cara, di un aprsona amata, di un lavoro, di un hobby, e di tutto ciò con cui si relazione e a cui presta attenzione e interesse. Ora, di fronte ad un lutto, ovvero alla morte di una persona cara, come di fronte alla perdita di una persona amata, come di fronte alla perdita di un lavoro o di qualsiasi altra cosa sulla quale si è investito emotivamente, la sensazione di dolore che si prova è legata ad una doppia perdita, non solo della cosa realmente perduta nel mondo esterno, ma anche della sua rappresentazione mentale nel mondo interno. Si vive un doppio vuoto, nell’ambiente esterno ma anche dentro di sé, la persona sente un ambiente esterno impoverito, ma anche un vuoto interno incolmabile, ed ecco allora che tutto ciò diventa un’esperienza di enorme sofferenza.
Da un punto di vista psicologico l’esperienza della perdita di ciò su cui si è fortemente investito emotivamente, a prescindere dalla specifica perdita è un’esperienza definibile come lutto. Umberto Galimberti, filosofo, sociologo, psicoanalista, accademico italiano e giornalista, definisce il lutto come uno “stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo, o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili (Galimberti U., 1999, p. 617). Ciò vuol dire che in qualsiasi esperienza nella quale si vive un forte investimento emotivo, e nella quale sopravviene la perdita dell’elemento su cui si è investito, si deve disinvestire il sentimento provato, e ciò sviluppa l’esperienza del lutto. Questo è quanto accade anche per la fine di una storia d’amore.
Secondo gli studi psicologici, di fronte alla fine di un amore, mentre nell’immediato si riscontrano delle reazioni individuali, più tipiche per ogni persona, nel percorso di elaborazione della perdita, invece, si evidenziano delle reazioni comuni, riscontrabili nella maggioranza delle persone.
In effetti, la prima reazione di fronte alla notizia shock di aver perso un amore può essere diversa. C’è chi reagisce con un carico emotivo talmente esplosivo da sviluppare quasi un attacco di panico, con conseguenti sintomi quali: senso di smarrimento, confusione, disorientamento, derealizzazione, tachicardia, sudorazione. Ma c’è anche chi invece reagisce congelando le proprie emozioni, razionalizzando da subito l’evento e vivendolo con un gelido distacco come se non stesse accadendo nulla di grave.
Ad ogni modo, a prescindere dalla prima e individuale reazione alla perdita di un amore, tutti vivono un periodo scandito da tipiche fasi di elaborazione della stessa. Queste fasi sono molto importanti, poiché permettono di affrontare e superare correttamente il dolore ed acquisire una nuova consapevolezza di sé. Questa nuova consapevolezza permetterà di essere più pronti per investire i propri sentimenti in una nuova storia d’amore, con maggiore maturità ed esperienza rispetto a prima.
La psichiatra svizzera Elizabeth Kübler Ross è considerata la fondatrice della psicotanatologia, ovvero di quella psicologia che studia il vissuto psicologico che si sviluppa nell’esperienza del lutto, ed è ritenuta una delle maggiori esperte in questo campo. Elizabeth Kübler Ross ha individuato cinque fasi di elaborazione del lutto (Kübler Ross E., 1990; 2002), fasi e non stadi, poiché non sono consequenziali, bensì si possono alternare e possono anche ripresentarsi più volte nel corso del tempo, con intensità diverse e senza un ordine preciso. Del resto questo percorso di elaborazione del dolore del lutto ha a che fare con le emozioni e le emozioni non seguono delle regole logiche precise. Secondo Elizabeth Kübler Ross queste cinque fasi di elaborazione del lutto sono uguali per tutti, tutti le attraversano, e sono proprio queste che conducono all’accettazione della perdita e quindi al cambiamento di se stessi e della propria vita.
Le dinamiche mentali che caratterizzano queste cinque fasi di elaborazione del lutto, tuttavia, per la psicologia si riscontrano non solo nel lutto per la morte di una persona cara, ma anche in tutte quelle esperienze nelle quali c’è la perdita di qualcuno o di qualcosa su cui si è investito emotivamente, quindi anche nella perdita di un amore. Ecco allora cosa accade nelle cinque fasi di elaborazione del lutto in relazione al lutto specifico della la perdita di un amore.
In questa fase c’è il rifiuto dell’esame obiettivo della realtà.
La mente ci protegge dal riconoscere la fine della storia d’amore, e dal constare che tutti i progetti e i sogni comuni sono andati in fumo, sarebbe emotivamente devastante prendere subito coscienza di ciò che sta accadendo. La perdita di un amore è una realtà così sconvolgente che in questa prima fase negarla sembra essere la soluzione migliore, e probabilmente, questo meccanismo di negazione, almeno inizialmente, permette di contenere le ansie e le angosce che diversamente sarebbero ingestibili.
In questa fase si prende coscienza della realtà dei fatti.
Dopo la fase della negazione si giunge a riconoscere l’amara realtà dei fatti, e questo riconoscimento arriva impetuoso, come un fulmine a ciel sereno, e si scatena un misto di emozioni: rabbia, frustrazione e odio. Sono tre emozioni che hanno un filo conduttore, si attivano di fronte all’impossibilita di ottenere ciò che si desidera. Accade, infatti, che l’investimento di emozioni positive verso quell’amore, ostacolato dal rifiuto, si trasforma in rabbia rivolta verso l’ex partner ma anche verso se stessi, in frustrazione per non riuscire a soddisfare i propri desideri, in odio verso ciò che sta ostacolando la propria volontà. Queste emozioni, seppur dolorose, hanno lo scopo di proteggere dal dispiacere generato dal rifiuto.
In questa fase si cerca di trovare un rimedio all’ineluttabile realtà.
Consapevoli della fine della storia, e attenuata la rabbia esplosiva conseguente a questa consapevolezza, ci si affida al bisogno di trovare una soluzione che possa cambiare il corso delle cose. Ci si mette in discussione, ci si interroga sui propri errori, si tenta di pianificare degli incontri con il partner per chiedere scusa, per promettere un cambiamento, per poter provare di nuovo a stare insieme. Si è pronti a tutto e si fa di tutto per cercare di riuscire a ricucire questa frattura dolorosa.
In questa fase si sviluppano emozioni che sfociano nella depressione.
Dopo essersi resi conto di non poter rimediare alla fine della storia, e quindi di non poter cambiare la realtà dei fatti, il vissuto emotivo diventa di tipo depressivo.
A questo punto non si può fare nulla se non arrendersi all’evidenza dei fatti, con tutto il dolore che questo comporta. E per attenuare questo dolore si cercheranno delle distrazioni, per esempio iniziando nuove attività per impiegare il tempo, oppure evitando i luoghi che riattiverebbero i ricordi della relazione d’amore. Ciononostante il dolore si farà sentire, e sentirlo sarà importante, solo entrando in contatto con quel dolore si potrà gradualmente affrontarlo e risolverlo.
In questa fase si accetta la perdita.
Arrivati a questo punto, dopo aver negato la realtà dei fatti, essersi opposti ad essa, aver cercato disperatamente un rimedio, e aver toccato il fondo della tristezza riconoscendo di non poter cambiare le cose, si giunge alla conclusione che l’unica cosa possibile è accettare la fine della relazione.
Per giungere a quest’ultima fase è importante aver vissuto e attraversato tutte le altre fasi precedenti, solo così si potrà maturare una consapevolezza tale che permetterà finalmente di accettare la perdita. Questa consapevolezza includerà la presa di coscienza che le relazioni sono instabili come lo sono molte cose nella vita, che le cose cambiano, che le persone cambiano, che l’amore non è una corda robusta a cui aggrapparsi, e che l’unica corda robusta e capace di sostenerci nella nostra vita è “se stessi”, è questo il miglior compagno di viaggio, al nostro fianco sempre, ovunque e comunque. “Se stessi” è la somma delle proprie capacità e risorse, e queste sono delle liane robuste e resistenti a cui aggrapparsi per affrontare al meglio la propria vita.
L’esperienza delle perdita di un amore è un’esperienza talmente forte che non può non infondere profondi insegnamenti una volta elaborata consapevolmente. Il primo e fondamentale insegnamento che impartisce è che, per quanto dolorosa possa essere una perdita, porta con sé un dono prezioso, ovvero “l’esperienza”, ci insegna cose che prima non sapevamo e ci istruisce a vivere meglio la nostra vita.
Ecco alcuni insegnamenti che impartisce la Maestra Perdita:
Bibliografia essenziale
Bowlby J. (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina, Milano.
Galimberti U. (1999), Psicologia, Garzanti, Torino.
Kübler Ross E. (1990), La morte e il morire, Cittadella Editore, Padova.
Kübler Ross E. (2002), La morte e la vita dopo la morte, Edizioni Mediterranee, Roma.
Fonte delle immagini
Web del 13 Aprile 2018. Fonte: https://images.fineartamerica.com/images-medium-large-5/separation-edvard-munch.jpg